Negli ultimi dodici anni ho fatto diverse esperienze: ho iniziato da dipendente come sviluppatore front-end in ambito culturale, poi per un po’ ho fatto il project manager e infine sono approdato al settore educativo, progettando e coordinando esperienze per bambinə e ragazzə, occupandomi di formazione insegnanti o di tecnologie educative. Poi da freelance mi sono occupato in modo variegato delle stesse cose, lavorando con la pubblica amministrazione o diventando per alcuni progetti quello che viene indicato dalle aziende come “consulente”. L’anno scorso, all’ultima iterazione sul mio job title, ho aggiunto il termine “facilitatore”.
Lo scorso ottobre, mentre stavo presentando un percorso di consulenza presso un’azienda, la titolare mi chiese, candidamente: “ma cosa vuol dire facilitatore?”. Nonostante qualche mese prima avessi incontrato, durante un bellissimo corso, una definizione che mi piace un sacco – un facilitatore è qualcuno che aiuta a navigare la complessità – e fossi quindi pronto a rispondere e raccontare cosa potevo fare per loro, la domanda mi colpì, mi aspettavo fosse un termine abbastanza noto.
Nel mondo dei processi partecipativi (spesso per il terzo settore o la pubblica amministrazione) c’è una generale consapevolezza di chi è un facilitatore. Così come nel mondo giudiziario, soprattutto per quanto riguarda la mediazione e la gestione delle controversie. Invece, in ambito aziendale, è una figura nota in alcuni contesti molto specifici, come ad esempio nella galassia delle pratiche agili oppure da chi si occupa di risorse umane. Spesso però si tratta di professionisti che utilizzano metodi e approcci tipici della facilitazione ma con altri job title (ad es. lo scrum master, il service designer, il formatore, il coach, ecc.).
In ambito educativo, la mia preferenza per il termine “facilitatore” è legata ad una prospettiva costruzionista dell’apprendimento, ma certamente insegnante, educatore, pedagogista, divulgatore scientifico, che condividono la stessa cassetta degli attrezzi dei facilitatori, sono termini ben più diffusi.
Con questa digressione sui job title volevo ribadire come secondo me, nonostante il processo e le competenze che permettono di progettare attività orientate all’apprendimento non siano diversi tra adulti e bambini, una volta finita la scuola non si parli di apprendimento ma si usi il termine “formazione”. Così una persona che insegna o progetta percorsi o esperienze di apprendimento è un “docente” o un “formatore” e non si usa il termine “facilitatore”.
Vabbè, forse volevo solo dire che nonostante mi muova tra contesti molto diversi, la sostanza di quello che faccio da molti anni è la stessa 😅.
Quattro esperienze sul tema
Questa lunga introduzione deriva anche dal fatto che l’anno scorso ho fatto tante cose in contesti diversi che ruotano attorno al termine “facilitazione”.
Corso “Approcci e tecniche di facilitazione”
Il corso, tenuto da Gerardo de Luzenberger e Stefania Lattuille, mi è stato consigliato da Riccardo che aveva fatto il master. Oltre ad essere membro del board IAF, Gerardo organizza ogni anno #FACILITA, la conferenza italiana per chi si occupa di facilitazione, a cui ero riuscito a partecipare (online) nel 2020.
È stato una bellissima opportunità sia per aumentare il bagaglio di tecniche ma, soprattutto, per andare finalmente un po’ in profondità riguardo il ruolo del facilitatore, le dinamiche di gruppo e la gestione dei conflitti.
Continuo ancora oggi a rispolverare gli appunti del corso, riscoprendo questioni toccate con mano solo con le esperienze dei mesi seguenti. Tra tutte, il tema del rapporto con il committente, ovvero la necessità di chiarire subito gli obiettivi del processo per evitare incomprensioni sul tipo di risultato che ci si aspetta. Un processo partecipativo solitamente richiede di abbandonare l’illusione di poter controllare cosa produrranno i partecipanti, lasciando al gruppo la responsabilità dei risultati. Il ruolo del facilitatore sarà di progettare il processo e gestire tempo e spazio.
Mi spiace non essere ancora riuscito a trovare un ingaggio per la facilitazione di un evento o percorso totalmente partecipativo dove poter usare strumenti come l’Open Space Technology o il World Café. Ma questo dovrebbe essere l’anno giusto 😝.
Workshop “Growing your online facilitator’s toolbox”
Grazie ad Angela Sofia, come team 🦄 Unicorni abbiamo co-progettato con altre 7 persone un workshop online proposto alla conferenza annuale della Rete Europea di Musei e Science Centres (ECSITE). Volevamo riuscire a far sperimentare più tecniche possibile nei 45′ a disposizione, così ne è venuta fuori una sorta di staffetta tra micro-attività. Se siete curiosi abbiamo creato un padlet con quelle proposte nelle varie breakout.
Ci siamo divertiti tantissimo a prepararlo, con Angela Sofia qualche settimana prima abbiamo anche improvvisato un Appuntagioco online con amici e curiosi iscritti alla newsletter degli 🦄🦄🦄 dove abbiamo provato diverse attività candidate per il workshop. Per me è stata una bella occasione per progettare e condurre un workshop in inglese, ma soprattutto per conoscere altri professionisti provenienti da contesti tanto diversi: divulgatori scientifici, project manager, consulenti, direttori artistici, tutti accomunati dal desiderio di condividere e sperimentare.
Twenty Ways to Facilitate Twenty Things to Do with a Computer
La prima metà dello scorso anno mi ha visto impegnato con Angela Sofia e Carmelo nella stesura di un contributo per il libro “Twenty Things to Do with a Computer Forward 50: Future Visions of Education Inspired by Seymour Papert and Cynthia Solomon’s Seminal Work” (sito editore, Amazon). Non credo di aver fatto sapere al mondo in modo adeguato quanto sono supermegastraorgoglioso di trovarmi dentro questa pubblicazione, sia perché siamo accanto a persone incredibili (Sugata Mitra, Conrad Wolfram, Yasmin B. Kafai, Dale Dougherty, Cynthia Solomon, …), sia perché ci ha permesso di mettere nero su bianco alcuni degli elementi più importanti dello stile degli 🦄🦄🦄.
Avendo parecchia libertà, abbiamo iniziato a divergere dopo una lunga chiacchierata con Cynthia Solomon, affascinati non tanto dalle cose che potessero fare i bambini con il computer, ma dal modo in cui lei e Seymour facilitavano queste esperienze. Quello che ci interessava di più, essendo ormai abituati ai mondi incredibili che i partecipanti ad un’esperienza di apprendimento creativo sono in grado di materializzare, era chiarire quali ingredienti riteniamo più importanti nel progettarne una.
Ce ne sono solo 20 ma avrebbero potuti essercene molti altri, sono sicuramente parziali ma contengono le nostre esperienze dirette, e proprio per questo speriamo siano facilmente “azionabili” 🛠️.
Community di Butter
A settembre mi sono imbattuto nell’evento di lancio della community di Butter 🧈, una piattaforma progettata appositamente per workshop online. Durante una giornata super divertente ho partecipato a 3 workshops diversi, condiviso esperienze con una dozzina di workshopper dalle timezone più varie e scoperto una app e un team veramente in gamba.
Al di là della app in sé, che sto cercando di sdoganare in sempre più contesti, la cura che il team sta mettendo nel coltivare la community è ammirevole. Sono riusciti ad aggregare una grandissima quantità di professionisti dai contesti più disparati, coinvolgendoli nella creazione di eventi gratuiti e nella divulgazione e condivisione di risorse. È stato all’interno di questa community che ho scoperto l’acronimo L&D (learning & development), usato in ambito aziendale da chi si occupa di risorse umane, per identificare le tipiche attività in cui coinvolgere un facilitatore.
Mi piacerebbe essere più attivo e presente, ma il mio contesto lavorativo principale resta l’Italia, quindi per il momento faccio più il lurker. Ma con amore ❤️, dando il mio occasionale contributo.
I miei ingredienti preferiti
Qui sotto ci sono alcune cose sempre presenti nel modo in cui progetto e facilito workshops ed esperienze di vario genere. Fanno ormai parte del mio stile, che si tratti di esperienze con adulti o con bambinə.
Making learning visible
Una frase incontrata la prima volta conoscendo l’esperienza di Reggio Children. Per me vuol dire fare in modo di documentare quanto più possibile cosa emerge durante il workshop, se possibile facendolo fare direttamente ai partecipanti usando post-it 🟨 o canvas. Significa anche avere cura dello spazio, usando tavoli, sedie e pareti per comunicare modalità di partecipazione e momenti importanti dell’esperienza.
Working alone together
Questa invece l’ho trovata dentro Design Sprint ed è un bellissimo modo per ricordare che quando si lavora in gruppo c’è sempre bisogno di dare spazio ai partecipanti per riflettere individualmente e annotare i pensieri, prima di condividere e iniziare a confrontarsi. O come dice Enrico in modo un po’ provocatorio: “nessuna buona idea è mai venuta fuori da un brainstorming”.
Playfulness
La quarta P del Creative Learning è Play, che in inglese è un po’ una parola-valigia, che contiene tante cose diverse. Creare un clima giocoso non è solo questione di usare serious games (il modo buffo in cui alcuni adulti chiamano i giochi per imparare), significa creare un clima in cui i partecipanti sono nello stesso mood in cui si trovano mentre giocano: sono curiosi, non hanno paura di sbagliare, di sperimentare cose nuove. E c’è spazio per ridere e sorridere.
Learning through making
Anche questa cosa deriva dal Creative Learning e dal costruzionismo e significa che attraverso la costruzione di qualcosa impariamo meglio. Per me è tanto la costruzione di un prototipo quanto la compilazione di un template. Creare oggetti tangibili che possiamo condividere, discutere, modificare, ecc. ecc. Per questo mi piacciono i LEGO, i giochi di 21 Toys, attività come la spaghetti tower o il tinkering.
P.S. è appena iniziato LCL se siete interessati 😉
Individuals and interactions over processes and tools
Prendo in prestito questo titolo dal manifesto agile. Nel mondo del lavoro o della formazione, entrare in una stanza e sedersi ad un tavolo assieme ad altri semi-sconosciuti è considerato normale. Mi stupisce sempre quanta poca attenzione si presti alle relazioni tra le persone, alla necessità di dedicare tempo a creare un terreno comune per farle sentire a loro agio nell’esprimersi e partecipare. Un bellissimo libro che illustra, anche visivamente, questo concetto è “Facilitator’s Guide to Participatory Decision-Making” di Sam Kaner.
Il corpo non è solo un mezzo di trasporto per la testa
“There’s something curious about professors […] They look upon their body as a form of transport for their heads. Don’t they? It’s a way of getting their head to meetings.” – Sir Ken Robinson
Ok, la citazione è un po’ fuori contesto perché Ken Robinson la usa per argomentare altro, ma l’immagine mi piace tantissimo. Alzarci in piedi e muoverci dopo mezz’ora seduti a discutere, guardare il cielo o fare una passeggiata fuori, proporre un energizer, sono tutte cose indispensabili per poter lavorare e vivere meglio.
Meglio fatto che perfetto
Una personale e ingiustificata passione per le attività time boxed (usando il time timer) e l’uso del “Parcheggio” durante i workshop.
Musica
Ho imparato che in alcuni contesti è importante chiedere prima di usare la musica, ci sono persone che nei momenti di riflessione preferiscono il silenzio. In ogni caso, ecco una serie di playlist che uso:
- AJ&Smart Workshop
- Remote Workshops
- d.School ACTIVE
- d.School REFLECTIVE
- Guardians of the Galaxy vol.1 & 2
Quando ci troviamo in presenza?
Quando ho acquistato l’Empathy Toy lavoravo in H-Farm e sono riuscito a provarlo subito con il mio team, per poi iniziare a usarlo all’interno di alcune esperienze con studenti o insegnanti.
Il Failure Toy mi è arrivato a casa durante il Covid-19, così da gennaio 2021 ho nella mia to-do list un task chiamato “trovare il modo di usare il failure toy in presenza”. Recentemente ci sono riuscito. E sono tornato a pensare alle tante persone diverse con cui vorrei provarlo.
Come freelance gli ultimi 2 anni sono stati ricchi di incontri e collaborazioni in tanti contesti diversi, quindi non so bene come fare a radunare tutte le persone che ho in mente, ma ci provo.
Ho creato questo doodle per fare un incontro tra fine maggio e giugno. Devo ancora trovare un posto ma sarà dalle parti di Padova. Se volessi esserci compila il doodle, se conosci un posto che potrebbe ospitarci scrivimi una mail.
Ah, intanto segnalo anche che mi sono iscritto a play14 (15-16-17 settembre a Bologna).