Un consiglio simbolico: dite “no” alla “formazione insegnanti”
Nel contesto dell’educazione, la parola “formazione” evoca significati sminuenti del valore intellettuale degli insegnanti. Se qualcuno chiedesse: “Lo scopo della formazione insegnanti è quello di formare gli insegnanti a formare i bambini?” la risposta sarebbe probabilmente un silenzio pieno di stupore o una decisa negazione. Nessuno infatti vuole utilizzare l’espressione “formazione” per descrivere ciò che i bambini dovrebbero ricevere a scuola. Quando parliamo dei bambini utilizziamo parole più rispettose della loro crescita intellettuale come “educazione”, “sviluppo” o “socializzazione”. Perchè questa asimmetria? La risposta è chiara: la Scuola ha la tendenza a considerare gli insegnanti dei tecnici che svolgono un lavoro tecnico, e per questo motivo la parola “formazione” risulta perfettamente appropriata.
Papert, Seymour. The connected family: bridging the digital generation gap. Atlanta: Longstreet Press, 1996 (edizione italiana, Connected Family: Come Aiutare Genitori e Bambini a Comprendersi Nell’era Di Internet. Milano: Mimesis, 2006, p. 199)
Nella versione inglese il termine utilizzato è “training” che può essere tradotto anche con “addestramento” o “allenamento” 🏋🏼. Cambiando in questo senso la traduzione suona decisamente più preoccupante: “Lo scopo dell’addestramento degli insegnanti è quello di addestrare gli insegnanti ad addestrare i bambini?”.
Sono convinto che in italiano siamo un po’ più fortunati e “formazione” non sia così malaccio come il corrispettivo inglese. Nonostante questo condivido la conclusione di Seymour quando suggerisce che la percezione diffusa degli insegnanti sia quella di “tecnici”.
Su questo stesso territorio linguistico c’è un altro intervento di Papert che mi piace molto 👇️
In pochissimi minuti sono racchiusi concetti molto potenti, legati alla nostra percezione di scuola e apprendimento. Secondo Papert abbiamo molte parole che descrivono l’arte di insegnare, ma non ne abbiamo nessuna per esprimere l’arte di imparare. C’è un momento della nostra vita in cui passiamo da imparare a ricevere degli insegnamenti.
Anche da adulti, assieme alla rapidità con cui la tecnologia ci sta abituando a ottenere le cose, la percezione di trovare un “esperto” che ci trasmetterà le sue conoscenze modella le nostre aspettative riguardo la formazione. Corsi brevi, che si possono consumare in pausa pranzo o dopo il lavoro, da cui ottenere immediatamente qualcosa di spendibile per la propria professione.
Come progettista è sempre frustrante scontrarsi con questo genere di vincoli perchè sento che partono da lontano, da come usiamo le parole e dalla percezione di cosa vuol dire “imparare”. Per questo motivo mi piace usare “learning design” che rendo in italiano con “progettare esperienze di apprendimento”. Per questo con gli unicorni 🦄 usiamo il discutibile termine apprenditore invece di studente o discente.
Chissà se esiste un termine migliore di “formazione insegnanti”.