TEDx

Ho tenuto un talk al TEDx Montebelluna: “Coltivare il pensiero creativo con il computer“. Qui vorrei riflettere su com’è andata e aggiungere un po’ di contesto alle cose che ho detto. Ovviamente le cose più interessanti non sono farina del mio sacco 🎒

Preparare un TED Talk

Una volta contattato dall’organizzazione ho avuto una scaletta delle cose da fare e diversi mesi per prepararle in anticipo: il titolo, una bozza del discorso, una prova video, le slide ecc. Jacopo, il mio riferimento del team speaker, mi stimolava a rispettare le scadenze 😅 e mi forniva feedback sui materiali che mandavo (grazie a Jacopo e tutto il team speaker 🙏).

Il tutto serve a garantire per il giorno dell’evento il livello di qualità certificato dal brand TED, ma ovviamente per un procrastinatore abituato ad improvvisare è stato fonte di grande stress 😭

Per prima cosa

Grazie a youtube e ai social vediamo da anni talk appassionati e motivazionali e TED promuove proprio questo tipo di format. Non a caso, il creatore di TED, Chris Anderson, ha pubblicato un libro dal titolo “Il migliore discorso della tua vita” 🤯

La prima cosa da fare sarà quindi convincervi che se siete stati contattati avete sicuramente qualcosa che vale la pena raccontare. Forse non sapete ancora come ma il cosa è già noto a qualcun’altro, tanto che vi hanno invitato a farlo da un palco.

Se poi va malissimo e proprio non riuscite a trovare niente di niente, potete fare come Will Stephen 👇️

Risorse utili

Chris Anderson ha scritto un libro 📖 che penso possiate leggere. Io ho guardato questo suo intervento ad un workshop. Poi ho trovato delle stimolanti e brevi clip di TEDx Cambridge a cura di Tamsen Webster.

L’altra risorsa imporante sono stati i miei amici Unicorni 🦄 e i loro preziosi feedback (tra l’altro Carmelo aveva già parlato ad un TEDx ben prima di andare al MIT e diventare famoso 😝).

Il cosa

Il tema principale per cui sono stato contattato riguarda il pensiero computazionale, nello specifico le curiosità degli organizzatori ruotavano attorno a:

  • cosa vuol dire pensiero computazionale
  • perchè si dovrebbe imparare a programmare fin da piccoli,
  • cos’è un linguaggio di programmazione e come differisce dai linguaggi che conosciamo
  • il potere creativo connesso all’apprendimento di un linguaggio di programmazione

Insomma, ho avuto parecchia libertà nel pensare cosa mettere nel talk e inevitabilmente sono partito dalle riflessioni che stavo facendo nel preparare la seconda edizione dell’omonimo corso che tengo all’Università di Bologna. Nel primissimo draft dei contenuti, inoltre, volevo riuscire a mettere dei riferimenti alle belle esperienze che abbiamo avuto in Italia 🇮🇹 grazie a figure straordinarie come: Maria Montessori, Don Milani, Loris Malaguzzi, Mario Lodi, Alberto Manzi, Gianfranco Zavalloni, ecc.

Avevo le idee un po’ confuse 😕 e, incredibilmente, ne esiste una testimonianza video grazie ad un breve intervento fatto a giugno dell’anno scorso (in piena pandemia), dove provai ad elaborare quello che mi passava per la testa e che volevo mettere nel TED talk.

Dal minuto 37, non sarebbe mai potuto diventare il miglior discorso della mia vita 😝

Siccome ne veniva fuori una cosa più simile ad una lezione universitaria, troppo lunga e piena di riferimenti non approfonditi, ho cercato di seguire il feedback unicornico 🦄 “rendilo personale, fai esempi concreti, mettici del tuo“.

Il mio in questa fase della vita riguardava l’essere genitori e buona parte delle cose che Seymour Papert ha riassunto nel suo The Connected Family: Bridging the Digital Generation Gap del 1996.

Il come

Niente mappa mentale, anche se c’è stato un importante momento post-it 🟨 🟧 🟩

post it
Nella mia testa aveva un senso, giuro.

Quando devo preparare un talk non vado molto oltre una scaletta delle cose che voglio dire 😅, ma in questo caso era importante provare a raccontare “storie”. Così, dopo la terza scaletta di argomenti che provavo a incastrare come un puzzle, ho iniziato a buttare giù pezzi di discorso. La versione (semi)definitiva del talk era pronta qualche settimana prima dell’evento, dopo almeno 6 o 7  iterazioni diverse nell’organizzazione dei contenuti.

Se anche voi, come me, tendete a improvvisare molto, le prove video sono state la vera svolta 📹️. Passato l’imbarazzo iniziale di rivedersi e riascoltarsi, mi hanno permesso di acquisire maggiore confidenza con i tempi e capire quali parti del discorso erano effettivamente funzionali agli argomenti oppure superflue.

BTW, alla fine sul palco non terrete il miglior discorso della vostra vita ma sarà un’iterazione accettabile per gli standard dell’organizzazione 😛

Coltivare il pensiero creativo con il computer

Ecco com’è andato il talk, più sotto trovate alcune riflessioni e riferimenti sui temi che ho cercato di sviluppare👇️

Piscina vs creatività

C’è un aneddoto che non ho raccontato nel talk: qualche anno fa stavo tenendo la presentazione di un centro estivo. Facevamo camp con Minecraft, di programmazione, di robotica, digital storytelling e tutte le cose cool che piacciono un sacco ai ragazzi. La presentazione ruotava molto più attorno al concetto di “creatività” che non alle tecnologie. Dicevo cose del tipo: “Non ci interessa che i ragazzi imparino a programmare per diventare dei programmatori. Ma per acquisire un nuovo linguaggio che permetta loro di esprimersi.
D’altra parte non è che imparate a leggere per diventare dei “lettori”, non imparate a scrivere per diventare degli “scrittori”. Sono capacità che vi permettono di imparare altre cose. Ecco, mentre imparate a programmare un computer o un robot, mentre imparate a girare un film o a costruire un mondo virtuale, state prendendo confidenza con un linguaggio che vi servirà per imparare altre cose.

Finita la presentazione, una mamma alzò la mano e mi disse: “È tutto molto interessante e bello… ma quindi si fa solo creatività? Niente piscina quest’anno?”. 🏊‍♂️

Mi ricordò un intervento opposto, l’anno precedente, quando alla fine della presentazione si alzò un bambino, evidentemente gasato dalle cose che avevo mostrato su Minecraft e realtà virtuale, e chiese: “Quindi farete dei camp di Fortnite?”.

Insomma, c’è sempre una certa tensione tra ciò che vogliono fare i bambini e cosa vorrebbero per loro gli adulti. Alla fine la piscina d’estate è un bel compromesso per entrambi 😄

Però la vicenda “piscina vs creatività” mi spinge sempre a riflettere su come noi adulti immaginiamo che avvenga l’apprendimento. Perchè “fare” creatività e “fare” piscina suonano così distanti? Cosa stiamo imparando “facendo” queste diverse attività?
Così penso a come sono organizzati i programmi scolastici, ai periodici tormentoni su cosa bisognerebbe insegnare a scuola, sulle cose obsolete, inutili, superflue, agli slogan: “basta geografia”, “basta latino”, “più robotica”, “più coding”. Dobbiamo “innovare”. Allora ogni anno faccio questa domanda ai miei studenti del corso di Pensiero Computazionale: “immaginate di essere il Ministro dell’Istruzione e di poter mettere mano a come sono organizzate le materie. Dovendo inserire questa sfavillante nuova disciplina chiamata “tecnologia e innovazione” (o “creatività” o “piscina”), a cosa rinunciate?

Il problema è che come adulti fatichiamo a distinguere apprendimento e scuola. Imparare qualcosa di nuovo richiede un corso, acquisire delle capacità richiede il supporto di un esperto che ci guidi, ecc… Vivendo la scuola abbiamo “imparato” come si “impara”, senza che nessuno ce lo insegnasse in modo esplicito ma semplicemente vivendone i suoi rituali e i processi interni (quel “programma occulto” di cui parla Ivan Illich nel suo “Descolarizzare la società“).

Ecco perchè il “pensiero computazionale” o l’insegnamento della programmazione in sé non le ritengo delle cose così interessanti. Limitarci a parlare di “cosa” insegnare non permette di parlare di “come” impariamo.

Personalmente mi sta molto più a cuore ❤️  che gli adulti riscoprano il loro ruolo educativo, riflettendo e mettendo in discussione come immaginano l’apprendimento. Ancora una volta è Seymour Papert a spiegarlo bene quando in Connected Family invita i genitori a riflettere su qual è la cultura dell’apprendimento in famiglia. E offre loro strategie e prospettive per farlo.

Quello che ho voluto comunicare nel mio talk è una di queste strategie: fare da esempio.

Il programma ‘kaleido’ per Acquarius

Rodari

L’articolo di Gianni Rodari, che mi ha fatto scoprire Angela Sofia 🙏, lo trovate per intero qui. Ci sono un sacco di cose interessanti sul ruolo della televisione nell’alfabetizzazione del Paese, gli altri media “culturalmente maltrattati” come i fumetti, il rapporto che adulti e bambini hanno con i libri, la fantasia, l’immaginazione.

Personalmente non mi ero mai ritrovato a fare un parallelo tra televisione 📺️ e computer 💻️. Ma effettivamente ho trovato narrazioni molto simili tra quella che veniva chiamata “teledipendenza” alla fine degli anni ’80 e quello che ora chiamiamo “screen time”.

Quando Rodari parla di com’è cresciuto con pochi libri per bambini intorno, lo fa per spiegare che la TV stava prendendo il posto di una letteratura orale che stava lentamente scomparendo, unificando l’Italia da un punto di vista culturale e linguistico. Nel mio talk questo è diventato un pretesto per riflettere sul fatto che la tecnologia cambia continuamente e, soprattutto adesso, a una velocità esponenziale. In soli vent’anni abbiamo iniziato a connettere qualsiasi cosa a Internet, dai telefoni agli orologi, abbiamo inventato valute digitali e interi mondi virtuali e ci affidiamo alle intelligenze artificiali per guidare i nostri gusti.

tommy
Tommaso parlava con Alexa. L’ho spenta. Non sono pronto.

Nonostante questo, anche a distanza di quarant’anni, la proposta di Rodari per gli adulti è sempre valida:

Bisognerebbe studiare un sistema di domande da rivolgere ai bambini per sapere le loro opinioni vere, non per suggerire a loro delle opinioni, dato che spesso noi facciamo delle richieste per suggerire ai bambini le nostre risposte.

Gianni Rodari

In sostanza Rodari ribadise che invece di stare a discutere di quante cose belle o brutte sfornasse la televisione, la cosa importante era parlare coi bambini di quello che vedevano, accettando (come possiamo) che nel processo di riappropriazione del materiale fantastico proposto dalla TV, ci potevano fare quello che volevano. D’altra parte

gli albi di Goldrake, i libretti di Heidi e cosi via, qualche volta sono anche brutti, vuoti, innocui, ma anche i bambini – come gli adulti – hanno diritto ad avere letture di diverso peso, comprese quelle in cui riversano il loro bisogno di fantasticare, accanto a quelle che impegnano la loro personalità in modo più diretto e più profondo.

Gianni Rodari

Non è facile, ma penso sia necessario almeno provare ad adottare questo approccio curioso quando ci rapportiamo con i bambini.

Una breve clip per capire come mai uscì l’articolo di Rodari

Sul computational thinking

Il talk è rivolto genericamente agli “adulti”, soprattutto ai genitori, ma vorrei aggiungere un paio di riferimenti per i designer, cioè in senso ampio chi si occupa di progettare 🧑‍🎨, dagli insegnanti che progettano esperienze di apprendimento, agli sviluppatori informatici che progettano le nuove tecnologie.

Perchè voi avete delle responsabilità in più.

Una sintesi delle mie perplessità rispetto al “pensiero computazionale” e alla retorica della disruption tecnologica la trovate nel breve paper “Computational Thinking should just be Good Thinking” di Mark Guzdial, Alan Kay, Cathie Norris, Elliot Soloway. Che si conclude con ques
ta domanda:

If Montessori were alive today, she would still want to re-design school, but she would likely want to change the computing, too. That’s part of the child’s whole environment. How would Montessori re-design Fortnite? What would she design instead of Fortnite?

Mark Guzdial

Un intero libro dedicato invece al computational thinking e alle prospettive e responsabilità dei designer è “How to speak machine” di John Maeda, dove tra le altre cose scrive:

Technologist = I do, because I can.
Humanist = I do, because I care.
With just the substitution of two letters for one, “can” turns to “care” and technology becomes humanized. I believe that you care.

John Maeda

Oltre a ricordarmi Don Milani, mi permette di postare un’altra citazione a cui sono molto affezionato (che non arriva dal libro di Maeda ma avrebbe potuto esserci):

The most exciting breakthroughs of the 21st century will not occur because of technology but because of an expanding concept of what it means to be human.

John Naisbitt
Secondo Maeda, nel mondo computazionale una delle prospettive che cambia è la “scala”.

Computer as Paintbrush 🖌️

L’idea di immaginare il computer come qualcosa di più simile ad un pennello che ad una televisione è un’azzeccata metafora di Mitchel Resnick, il quale ha scritto proprio un paper dal titolo “Computer as Paintbrush: Technology, Play, and the Creative Society” (2006).

We need to move away from generalizations about all computers or all technologies, and consider instead the specifics of each technology and the context of its use. Some technologies, in some contexts, foster creative thinking and creative expression; other technologies, in other contexts, restrict it.
Rather than focusing on the division between techno-critics and techno-enthusiasts, we need to focus on the difference between activities that foster creative thinking and creative expression (whether they use high- tech, low-tech, or no-tech) and those that don’t.

Mitchel Resnick

Spostarci dalla tecnologia in sé al contesto e al modo in cui viene usata è un cambio di prospettiva indispensabile per evitare di riempire un’aula di visori per la realtà virtuali che gli studenti indossano per accedere ad un mondo virtuale dove sono nuovamente dentro un’aula 🤦.

But nothing could be more absurd than an experiment in which computers are placed in a classroom where nothing else is changed.

Seymour Papert

Insomma, anche il più nostrano “Sta mano po esse ferro e po esse piuma“, ci ricorda che dipende tutto dal nostro sguardo 👀. E non intendo solo dal modo in cui vediamo la tecnologia e i computer, ma lo sguardo con cui guardiamo l’insegnamento e l’apprendimento. È difficile cambiare questo sguardo, avendo passato quasi vent’anni, molte ore al giorno, come studenti a scuola, ad osservare in che modo avviene l’insegnamento e farci un’idea di cosa significa imparare qualcosa di nuovo.

The role of the teacher is to create the conditions for invention rather than provide ready-made knowledge.

Seymour Papert
dal palco
Ovviamente nelle slide c’erano Scratch, cagnolini e palloncini

Creative Learning

Esistono moltissimi modelli e teorie che provano a rispondere alla domanda “come impariamo?”.

learning theory
‘Learning Theory’ by Richard Millwood

Personalmente mi piace la prospettiva “costruzionista” di Seymour Papert, che più tardi Mitch Resnick ha rappresentato attraverso la spirale dell’apprendimento creativo. È la mia prospettiva quando penso all’apprendimento e, di conseg
uenza, all’insegnamento.

Tra molte teorie non esiste una distinzione così netta, ma le scelte che facciamo come designer/educatori, quando progettiamo un’attività da svolgere con degli studenti, o come policy maker, quando organizziamo spazi, tempi e risorse della scuola, rispondono al nostro modello mentale di cosa significa insegnare e imparare.

Il mio framework di riferimento per la progettazione è il Creative Learning con le sue 4P: projects, passion, peers, play.

creative learning

È impossibile spiegare le 4 P senza raccontare storie o mostrare volti di bambini. La mia memoria non mi aiuta con la prima cosa, la privacy mi impedisce la seconda.

Forse è stato meglio così, considerato il tipo di talk. Raccontare una bella storia di apprendimento, mostrare un progetto (più o meno tecnologico) realizzato da un bambino, espone al rischio di far credere che le 4P siano gli ingredienti di una ricetta. Come se bastasse mescolare assieme mascarpone, zucchero e uova per ottenere sempre un delizioso tiramisù. D’altra parte viviamo un’epoca in cui siamo alla ricerca di soluzioni immediate: le kids-solutions, come le ha definite Bruno Tognolini in un suo recente intervento (potete ascoltare anche solo i primi 6 minuti per afferrare il concetto).

La cosa bella di un’esperienza progettata sulle 4P è la capacità di farci cambiare prospettiva su quello che pensiamo di essere in grado di fare, sui modi che pensiamo esistano per eprimerci, comunicare con gli altri e conoscere le cose del mondo.
Ancora una volta è una questione di prospettiva 👀, non più di come intendiamo apprendimento e insegnamento, quanto di come vediamo noi stessi e la nostra capacità di imparare cose nuove.

black lives matter gallery

Fare da esempio

Delle big ideas di Seymour Papert la mia preferita è sempre stata quella che Angela Sofia 🦄, ha tradotto con “Fai da esempio“.

The seventh big idea is do unto ourselves what we do unto our students. We are learning all the time. We have a lot of experience of other similar projects but each one is different. We do not have a pre-conceived idea of exactly how this will work out. We enjoy what we are doing but we expect it to be hard. We expect to take the time we need to get this right. Every difficulty we run into is an opportunity to learn. The best lesson we can give our students is to let them see us struggle to learn.

Seymour Papert

In Connected Family, i cui destinatari sono i genitori, Papert suggerisce di riflettere sulla cultura dell’apprendimento che c’è in famiglia. Qual è l’atteggiamento di noi adulti rispetto all’apprendimento? I bambini ci vedono impegnati ad imparare cose nuove? Riusciamo a creare opportunità differenti per imparare divertendoci?

Come dico alla fine del talk, non sto dicendo di imparare a programmare, stando svegli tutta la notte come ha fatto mio papà con il caleidoscopio (alla fine lui non ha mai portato avanti quell’interesse). Ma qual è il vostro caleidoscopio? Cosa vuol dire per voi adulti imparare qualcosa di nuovo e farlo con le vostre mani? Quali sono le passioni che vi tengono svegli la notte?

Facendo da esempio e creando in casa un ambiente aperto all’apprendimento, sarà più facile aiutare i bambini a vedere il computer o qualsiasi altra tecnologia come un pennello.

Alla fine i vostri figli non si ricorderanno dei puntini colorati che comparivano sullo schermo. Sapete cosa ricorderanno? Di quanto siete stati curiosi, della passione che vi anima e che non vi siete mai arresi.

mamma e papà
Perchè chiamare un elettricista se puoi farlo tu.

Come si sarà capito questo talk è una articolata dichiarazione d’amore ❤️ per i miei genitori e l’esempio che sono stati per me. Non parlo solamente del fatto che mio papà aggiustava le cose 😝. Entrambi non si sono mai arresi di fronte alle difficoltà, hanno cambiato più volte professione in età adulta trovandosi a dover imparare cose nuove, hanno dato a me e mio fratello l’opportunità di fare tante esperienze diverse, creando un clima di fiducia nelle nostre capacità e curiosità per la scoperta.
Non è stato facile, come non lo è in nessuna famiglia e in nessun processo di crescita. Costa fatica e si fanno tanti sbagli, ora che sono genitore lo capisco meglio. Ma sono infinitamente grato per com’è andata 😃

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