Vendorleaks

L’altro giorno stavo seguendo l’incontro del NISO Bibliographic Roadmap Development Project (trovate i materiali su questo sito), finchè sono stato colpito alla testa da un paio di simpatici tweet.
https://twitter.com/brinxmat/status/323837250414714881
🙂 Mi ha fatto molto ridere e volevo condividerlo, ma in realtà non c’entra con il discorso che volevo fare.
https://twitter.com/yo_bj/status/323817028324581376
Il contesto è l’abbandono del formato MARC e il tweet dice chiaramente: i rivenditori non faranno passi in avanti finchè non lo faranno le biblioteche e le biblioteche non faranno passi in avanti finchè non lo faranno i rivenditori.
Per lavoro mi sono spesso trovato a riflettere sul rapporto tra il rivenditore di software e le biblioteche: su come si sviluppino assieme i progetti, su come si riescano a realizzare servizi o prodotti (cosiddetti) innovativi. All’inizio del mio percorso sentivo la mancanza di interlocutori, ovvero di persone in grado di spiegarmi le ultime evoluzioni degli standard, persone in grado di immaginare nuovi servizi e aiutarmi a costruirli. Ma alla fine ho capito che ogni cliente ha le sue complessità e le sue priorità inderogabili. Spesso queste dominano il rapporto con il rivenditore, generando una empasse nello sviluppo.
Vorrei quindi elencare alcune banalità legate al rapporto tra rivenditore e cliente.

1. il rivenditore fa quello per cui viene pagato.

Se domani una biblioteca venisse alla mia porta, disposta a finanziare un progetto che permetta ai libri sugli scaffali di brillare al buio ed emettere una simpatica musichina ad ogni prestito, probabilmente prima di declinare darei una sbirciata al compenso. Non che mi interessi di musichine, però potrei anche accettare e mettermi a lavorare, visto che mi pagano. Un’azienda che intenda sopravvivere nel mercato deve essere disposta a questo genere di compromessi per essere in grado di pagare gli stipendi.
In un simile contesto non è facile trovare il tempo per lo studio, o l’azienda è abbastanza grossa da permettersi un settore ricerca&sviluppo, oppure è abbastanza piccola da fare bene una sola cosa.
Suggerimento: diffidate dalle aziende senza una mission ben definita. Se l’azienda a cui vi rivolgete non si identifica chiaramente con l’obiettivo di realizzare la migliore musichina-da-prestito del mondo, provate a cercare ancora. Se non esistono aziende che fanno musichine-da-prestito, sceglietene almeno una che abbia del gusto musicale.

2. un’azienda del settore IT non è in grado di realizzare qualsiasi progetto informatico

In parole povere, l’informatica non è magia e gli informatici non sono alchimisti (anche se alcuni si ritengono tali). È un mondo dove sono necessarie molte diverse competenze per poter realizzare qualcosa. Fate fare il vostro sito ad un team di ingegneri e non aspettatevi una grafica moderna e accattivante.
Suggerimento: imparate a riconoscere gli ambiti di competenza delle aziende IT, guardate altri lavori fatti dall’azienda o contattate altri clienti.

3. il rivenditore usa sempre un linguaggio alla moda

Parole come standard, ebook, app, open, 2.0, integrazione, social hanno l’affascinante capacità di non significare assolutamente nulla di per sè. E aggiungo che non sono assolutamente sinonimo di innovazione, trattandosi di cose in circolazione da parecchi anni. Il dramma è che si tratta di un circolo vizioso, visto che spesso sono le stesse biblioteche a fare affermazioni prive di significato (un esempio è “desidero l’integrazione con Facebook, Twitter, Google+”) lasciando al rivenditore il compito di imbastire un prodotto sopra alla “visione”.
Suggerimento: chiedete all’azienda cosa sta facendo di veramante innovativo per il mondo delle biblioteche, non per voi. Spesso non serve parlare informatichese per capirsi. Sforzatevi di stabilire un linguaggio comune.

4. più clienti fanno la stessa richiesta, più è probabile che verrà presa in considerazione prima delle altre

Se un software viene usato contemporaneamente da centinaia di persone, l’azienda si troverà a dover gestire centinaia di richieste. Uno dei criteri usati per determinarne le priorità è la quantità di clienti che fanno la stessa richiesta. Per un semplicissimo ragionamento di customer satisfaction.
Suggerimento: Imparate a fare pressioni in modo coordinato. Il 13 maggio finalmente si incontrano gli utenti di ClavisNG, che quindi possono saltare questo punto.

Giulio e Isacco @ Comperio
Isacco e Giulio riflettono sul futuro del MARC @ Comperio Srl

Conclusioni

Sono consapevole dei problemi legati alla scelta di un rivenditore da parte della P.A. (burocratizzazione, questioni politiche, ecc.), così come sono consapevole che ogni rivenditore sceglie di adottare il suo personale modello di business.
Questo significa che le precedenti banalità non valgono per tutti. Volevo parlarne solo perchè le banalità sono tra le cose più dure con cui mi scontro. Ed essendo banalità, si fa spesso finta che non esistano.
Le vere innovazioni non piovono dal cielo, non sono il colpo di genio notturno dello sviluppatore talentuoso. Sono frutto di ricerca e condivisione dei risultati (per questo c’ho l’ansia del “parliamone). Queste cose richiedono tempo, studio e partecipazione attiva alla progettazione. L’appuntamento NISO ci insegna che si sta progettando adesso quello che le biblioteche useranno forse tra 15 anni.
In tema di biblioteche e software per l’automazione, dovreste saperne tanto quanto (se non più) del rivenditore. Ma non riguardo a quello che c’è in circolazione oggi, intendo dire che dovreste sapere meglio del rivenditore come immaginate le biblioteche di domani.

2 commenti su “Vendorleaks”

  1. Grazie Enrico.
    Come giustamente osservi purtroppo le biblioteche non hanno molti strumenti per difendersi, infatti mi preme soprattutto il concetto “non fidatevi dei rivenditori”. Anche quando sembrano virtuosi. Soprattutto quando si parla di progetti relativamente “più piccoli” rispetto al cambio di ILS, ad esempio: sito web della biblioteca, integrazione RFID, gestione ebook.

  2. Scrivi cose ragionevolissime: possono sembrare banali, ma a volte il buonsenso è proprio quello che manca.
    Approfondisco un paio di punti secondo la mia esperienza dal punto di vista delle biblioteche.
    Uno dei fattori critici del rapporto fra “vendors” e biblioteche è il rapporto fra offerta del mercato (pochissima) e mezzi delle biblioteche (economici, amministrativi, di competenze: pochissimi).
    I software per biblioteche sono estremamente costosi e onerosi da installare, configurare, imparare a usare. Cambiare un ILS, o un catalogo, significa per un’istituzione avviare un progetto complesso, che prevede una gara di acquisto, un import-export di dati e numerose verifiche e test. Quando questa mole di lavoro si conclude, spesso è passato un anno (quando va bene), si sono spesi un sacco di soldi (anche in termini di ore-uomo) e ci si trova con un prodotto inferiore alle aspettative.
    Cosa può fare a questo punto una biblioteca? Non molto: cambiare comporta un altro lunghissimo periodo di analisi, implementazione, e test. Insomma cambiare un ILS non è come cambiare browser, o comprare una nuova stampante.
    Questo rende estremamente deboli le istituzioni rispetto ai fornitori.
    Anche fare una scelta meglio ponderata tramite un’analisi preliminare non è sempre facile, sia perché l’offerta non è ampia, sia perché un’analisi accurata richiederebbe accesso a moltissime funzioni non disponibili a un utente esterno e andrebbe effettuata su un periodo di media lunghezza. E nessuna ditta, in genere, che io sappia, offre dei trial o dei demo.
    A tutto questo si aggiunge l’impreparazione delle istituzioni, in termini di competenze e progettualità.
    Infine condivido al 100% il discorso sulla comunità di utenti e la partecipazione. Se una ditta è intelligente, accoglie attivamente la partecipazione dei suoi clienti. Io ricordo ancora con entusiasmo un seminario Itale a Parma nel 2010, in cui una folla di utenti ExLibris commentava, discuteva, criticava gli strumenti *insieme* ai commerciali della ditta. Allo stesso modo guardavo i miei colleghi emiliani, anche loro frustrati utenti di Sebina, e ci chiedevamo perché una cosa simile per Data Management non era mai stata organizzata. Con questo non voglio entrare nel merito di un giudizio di qualità delle due aziende, ma solo fare un esempio. Quello che state facendo con Comperio da questo punto di vista secondo me è decisamente virtuoso.

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